I primi vettori di batteri usati intenzionalmente sono state delle pecore malate, che l'antico popolo che abitava l'odierna Turchia, impiegava contro un popolo nemico
La storia delle guerre batteriologiche è costellata di sforzi per introdurre gli agenti patogeni nel campo nemico nei modi più diversi: si va dalle coperte infettate con il vaiolo che i cowboys distribuivano ai pellerossa ai cadaveri di appestati lanciati con le catapulte all'interno delle mura nemiche nel Medioevo. Secondo uno studio pubblicato dal Journal of Medical Hypoteses, i primi vettori di batteri usati intenzionalmente sono state delle pecore, che gli Ittiti, che abitavano l'odierna Turchia, usarono tremila anni fa contro un popolo nemico. Secondo lo studio del microbiologo italiano Siro Trevisanato, il batterio scelto come prima arma di distruzione di massa della storia è stato il Francisella Tularensis, responsabile della Tularemia, o "febbre dei conigli", un'infezione ancora oggi presente che se non curata porta alla morte nel 15% dei casi. Studiando documenti antichi, il ricercatore ha verificato che la prima comparsa della Tularemia in Medio Oriente risale al quattordicesimo secolo avanti Cristo nella città fenicia di Symra, ai confini fra Libano e Siria.
Gli Ittiti saccheggiarono questa città nel 1325 a.C., portando con sé anche animali infetti, che potrebbero aver trasmesso la malattia in tutto il loro territorio. ''Potrebbe essere proprio la Francisella la responsabile di quella che viene riportata come 'piaga Ittita' - spiega il ricercatore - un'epidemia di cui ci sono diversi documenti". Proprio nel momento di massima virulenza della Tularemia, secondo Trevisanato, gli Ittiti sono divenuti oggetto delle "attenzioni" di una popolazione confinante, che abitava la città di Arzawa nell'Anatolia occidentale, decisa ad approfittare della debolezza degli Ittiti per invadere il loro territorio. ''E' proprio in questo periodo, però, fra il 1320 e il 1318 a.C., che per le strade intorno ad Arzawa incominciarono ad apparire misteriosamente dei montoni - spiega l'esperto - gli abitanti della città li catturarono e li mangiarono.
Proprio in quegli anni la Tularemia ha iniziato a fare vittime nella città, tanto che alla fine la popolazione era così debole che la conquista degli Ittiti è fallita". La teoria del microbiologo è confermata, oltre che dai documenti, dal modo in cui l'infezione si propaga: l'infezione spontanea del batterio si manifesta in 150 mammiferi diversi, dai topi ai conigli alle pecore, e l'agente patogeno può essere trasmesso all'uomo facilmente dagli insetti come le zecche e le zanzare. ''Ci sono documenti in cui gli abitanti di Arzawa iniziano a chiedersi se c'è un collegamento fra i montoni e l'epidemia - conferma Trevisanato - secondo me c'è, e a qualcuno degli Ittiti deve essere venuta l'idea di utilizzare gli animali".
via Newton
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